mercoledì 28 dicembre 2011

Io vengo dalla Luna...



Non è una poesia né un racconto, ma una mia personale opinione e considerazione.

Forse saprete tutti che la sera della vigilia di natale un tentativo di rapina in una casa recanatese è finito con un morto tra i tre ladri penetrati nell'abitazione, tutti e tre di nazionalità albanese; ora, a che punto della civiltà umana e cristiana siamo giunti se su Facebook tutti quanti inneggiano all'omicida definendolo un "dritto", un genio o peggio un eroe? E' evidente che la legge italiana tutela poco o niente i cittadini che subiscono furti in quanto molto spesso coloro che sono presi vengono rilasciati dopo poco e la polizia spesso fa poco per procedere con le indagini, ma esaltarsi e festeggiare la morte di un uomo, che sia o no un ladro specie di un'altra nazionalità, è terrificante e mi fa rabbrividire. Aggiungerei che siamo sotto natale, un periodo in cui si dovrebbe guardare al prossimo con benevolenza e non certo puntargli contro una pistola! De andré subì un rapimento, numerosi furti da parte di zingari e reagì scrivendo "Hotel Supramonte" e "Kharakoné ( A forza di essere vento )" in cui compativa e capiva i suoi rapitori e gli zingari. Ovviamente si può controbattere rispondendo: "Ma De André era pieno di soldi!". Ma chi sono coloro che tengono di più ai propri beni? Il signorotto con fuoriserie, villa con piscina ed eserciti di inservienti o l'operaio? Ora vanno condannati a pieno sia coloro che esaltano questo gesto orribile ( che sia o no legittima difesa o un incidente ) come una liberazione tanto attesa dallo straniero, sia coloro che prendono il nostro paese come una sala giochi e le nostre case come attrazioni! Il rispetto reciproco, da entrambe le parti, è a mio avviso l'unica soluzione accettabile e necessaria, perché non c'è niente di più bello dello dello scambio pacifico di diverse culture che comporta per tutti una maggiore ricchezza culturale ed una maggiore apertura mentale. Ma, ahimè, questo rimarrà solo un sogno di un sognatore come il sottoscritto, che vede ancora del buono nell'animo umano e di cui ha ancora fiducia!

Ringrazio tutti coloro che vorranno dire la loro e che avranno la pazienza di leggere questo mio piccolo intervento.




Edoardo






"Erro,notturno"




Erro, notturno, lontan da ogni gente.
Il plenilunio, nel diurno abbaglio
pallido fiocco, splende ora lucente

cristallo. Sotto il suo puro raggio io
vago e, talor alzando il capo, miro
gli astri, che paiono gli occhi d'un dio.

Sento, nell'andare, come un sospiro
fuggire ogni attimo, e quei di domani
con lo stesso destino:orbo di spiro

già mi figuro, immoto, con le mani
giunte in croce,il mio corpo per il cielo
ceneri spandere,i suoi resti sì vani.

Per il cielo, si , per quel nero velo
punteggiato d'azzurre fiammelle,
trapunto di una gemma alba,di gelo.

Il cielo, ove in età fanciulle belle
promesse gli uomini vedean, credendo
candidi a nunzi di buone novelle;

e innocenti e superbi sè ponendo
al centro,tenean spontanea e sicura
la fede, la ragione soccombendo.

Questa de' prischi umani fu ventura.
E non mia: a me, ragione addusse il danno
del sapere che l'anima non dura,

che dono alcuno premierà l'affanno;
del saper che le stelle così chiare
non furono per l'uomo e mai 'l saranno,

e il sempiterno sfavillar lunare.



martedì 27 dicembre 2011

Rassegnazione




Un gruppo di fanciulli si diletta all'aperto...
Ridono, scherzano, si rincorrono,
come fossero in una bolla
che li protegge dalla verità
di una vita senza felicità
Ed io? Non più...

Due giovani amanti camminano per un viale...
Tra baci, sorrisi, sguardi di complicità
si ergono a padroni del mondo,
niente e nessuno può nuocer loro
neanche dell'esistenza l'eterno dolo
Ed io? Non più...

Davanti al bar alcuni anziani discutono l'un altro...
Ricordi, persone, momenti più o meno lontani
riemergono dall'oceano che è il reale
rilassati nel loro meritato riposo finale
sicuri di non rincontrare più il male
Ed io? Non più...

Intorno a me vedo solo terra bruciata,
rovine decadenti di sensazioni felici
cumuli informi di persone gradite...
Un angolino buio è ormai la mia casa.

Lasciatemi solo,
ingenuo naufrago in un precoce dolore.

Lasciatemi solo,
vittima di quell'arma che in gioventù chiamiamo amore.

Lasciatemi solo,
nella straziante attesa che arrivi presto la morte.


Gian



lunedì 26 dicembre 2011

Beretta 682 Gold E Double Trap

Per salire: un passo dopo l'altro, piede dopo piede; - è questa la regola; altrimenti rimani lì, impalato come un sasso senza coscienza, ma anche senza l'impellente bisogno di spostarsi. Io, che me la ricordo bene questa regola, salgo che è un piacere, su su in fino alla cima di quel monte. Quello lassù, che da laggiù, lontano, appare già immensamente minaccioso – lui però non potrebbe spostarsi... no, non credo. Sotto il braccio il mio fedele fucile; fedele quanto lo può esser un'insieme di metallo e legno, ma, comunque, fedele. È un Beretta 682 Gold E Double Trap da tiro calibro 12 – e chi non sa il nome del proprio fucile non può e non potrà mai... bla bla lasciamo perdere. Stretto al mio fianco mi accompagna fino a destinazione. Giungo, con un po' di fiatone debbo ammetterlo, in vetta, e subito l'altura preme sui polmoni. Posiziono bene le gambe, divaricate, asimmetriche, ben piantate a terra – ma non rigide, ricordatevelo, è importante! - ; tolgo il fucile dal fodero, lo afferro e lo stringo fra le mie mani, muovo il busto fino a sistemarmi in una perfetta posa plastica da tiratore esperto. Esperto, ricordiamolo. Esperto. Non per vantarmi. Attendo il calare del sole e l'aprirsi del buio sul mondo, l'avvolgente abbraccio della tenebra rischiarato soltanto da puntini luminosi, più o meno grandi e più o meno rotondi – sono rotondi poi? Carico il mio strumento di lavoro e sparo. Sparo a quel corpo celeste sospeso vicino a noi. Ogni tanto sfugge, ma quando c'è, quand'è bello panciuto – mangerà pure lui! - lo colpisco con il mio fucile. Con il mio fucile, un Beretta 682 Gold E Double Trap da tiro,calibro 12. Terminati i colpi da far esplodere, me ne ritorno giù verso il sentiero utilizzato per salire – la procedura per scendere è la stessa di prima, ma ora è tutto più facile – e, finalmente a casa, mi metto a dormire. Sono contento del mio lavoro, ogni giorno sempre di più, perché ogni giorno son sempre più vicino alla sua fine: distruggere la Luna. Perché? Perché a me il buio piace, e non la sopporto più, la luce e odio essere un fuciliere.
 
Andrea Bollini/fomento



domenica 25 dicembre 2011

La guerra come la conosciamo noi.




Sono morto. Ed ora reinizio.
La solita trincea, che da tempo frequento. So che al di là di quella barricata ci sono dei nemici pronti a spararmi contro.Carico il fucile di precisione, prendo la mira, sparo. Fuori uno.
Granata. Il lancio è preciso, le budella dei miei avversari schizzano sul terreno. Ho paura ma mi costringono a proseguire. Altra trincea, ancora odore di morte. Dei poveri diavoli, senza coscienza, si avvicinano verso di me. Conosco le loro mosse, vogliono colpirmi con una mannaia. Schivo, colpisco con la pistola e gli spezzo il collo. Come ho già fatto altre volte.
Penso: la mia storia è tra le migliori in circolazione. Sono un eroe per molti, i bambini mi amano, gli adulti vorrebbero essere me. In realtà non sanno cosa si prova a vivere in questo inferno. La fantasia li spinge, per insensate ragioni, a fantasticare e a sognare una vita come la mia. Io lotto per la mia famiglia, credo. Lotto solo per questo. Cerco vendetta, credo.
Torniamo a noi, le circostanze m’impediscono di poter pensare intensamente. In realtà m’impediscono di ricordare cosa facessi prima che iniziasse questa guerra. Ma non m’importa, devo vincere la guerra, salvare la mia famiglia e tornare alla mia vita normale. Al momento sono intrappolato dietro un grande masso e sento i nemici imprecare e sprecare tutte le munzioni nel tentativo di colpirmi. Non sanno che io so già cosa faranno. Sono dei pupazzi, forse non lo sanno.
Maledizione!
Mi hanno colpito alla spalla. Sento il dolore lancinante. Mi sembra di morire, ma qualcosa mi spinge a continuare. Credo che sia la forza di volonta. Con uno slancio da supereroe mi catapulto fuori dalla barricata naturale e ne abbatto quattro. Quello che rimane decido di farlo soffrire. Un colpo alle braccia, e con la pistola inizia a picchiarlo in testa, finché non sento le sue ossa spaccarsi, sotto urla laceranti.
D’un tratto lo vedo, il loro capitano. Ha carisma e si vede. So già cosa dirà vedendomi. Questa vita è un continuo deja-vù. Pronuncia le proverbiali frasi e si lancia contro di me. Mi sopraffà. Mi spara alla testa.
Sono morto.
Obiettivo fallito.
Game Over.
Il Burattinaio preme Start. Ricomincia partita.
Ed ora reinizio.



Andrea Capodimonte



Natale



Natale,
la solita ipocrisia,
l'ennesima bugia.
Sono stanco di vedere,
come ogni anno, gli abeti,
la bontà di pochi istanti
racchiusa in un falso credere.
È Natale mondo,
non è festa,
non fare finta,
io non ti credo.

Giorgio Giannaccini



sabato 24 dicembre 2011

La casa dell'inganno




Ci andavo spesso,
forse, anche troppo.
Mi accingevo verso
il conoscere e il non sapere.
Mi illudevo di trovare
l'amore di anime,
ma da buon giovine
il mio era un errore.

Era la casa dell'inganno,
la casa del mio abbandono.

A menar tempo,
a mietere secondi
si fa fatica.

A imbrogliar la mente
e creder al cuore
non costa nulla.

Con ingenuità immensa,
galleggiavo, in una vita sommessa,
e io, novella “Eveline”, giacevo
in un gorgo, dove, quasi tutte
le mie lusinghe erano vuote.

Eppure mi ricordo,
era strana quella casa:
gelida dentro,
calda fuori.

Sì, mi scaldavo
con i miei sogni
e quando tornavo
a terra, tornavo
ai miei inganni.

Ancora oggi, mi chiedo,
se sia stato vero
quello che ho provato
o se sia stato frutto
della futile illusione
di un'anima senza amore.


Giannaccini Giorgio



A Lorenza




Io so, perché vuoi bene a quel tuo figlio,
è il tuo frutto, è il tuo amore,
non di certo un passato appiglio
sfornato per saziare il tuo cuore.

Purtroppo anche l'amore
non è di eterno clamore,
sebbene ci siano i frutti
s'annichiliscono i pulpiti.

Ma è da quel tuo seme
che nacque la tua speme.

Ti credevi pazza,
orrenda creatura
forse da piazza,
visione becera
destinata a tramontare.

Poi è arrivato
quel tuo figliolo
anche lui bello
come te in passato.

Venne la sua malattia,
la tua tremenda malinconia,
ma i suoi occhi,
la sua luce evanescente
ti resero forte,
e adesso senza tremare
sei tornata ad amare.





Giannaccini Giorgio



Disillusamente




Posso viver senza te
ma monco di vita sarei.
Aquila senza penne.
Giorno senza notte per il sognatore.
E grigia nebbia ogni dì vedrei
che raggio alcuno riesce ad entrare,
simile a quella che lasci
per scia, veleggiando sola.

Voce sorda ti chiama
silenzio assordante risponde.



Tu, Donna

Ei tu? Sì proprio tu... tu
che sei laggiù.
Cos'era quella luce che
illuminava il cielo?
Spledea raggiante: fuoco
della notte.
Ancora calda è l'aria, gonfia
pesante, ricorda brillando
la luce.
Quella luce: quant'era bella.
Meraviglia, energia pura.
Sai dov'è?
Non mi rispondi e tosto
s'intristisce il mondo.
Ma, ecco! Una risposta,
un movimento. Il caldo
raggio d'autunno che imbrunisce
il fogliame (non reggea lo splendore)
si rivela! Eccola, dai tuoi occhi proviene.


Guardami.
Andrea Bollini/fomento



Estraneo

Rocciose dai mille volti 
d'incolorati pigmenti,
lacerano minacciose
sapienti frammenti.
Umida cartapesta
anzi tempo illusa
Rinchiusa in distratti
momenti - sconosciuti.


Allegro fiorisce
un estraneo in me.
Baldanzoso, nell'immediata
immensità dell'attimo,
svanisce. Estraneo.


Andrea Bollini/fomento

venerdì 23 dicembre 2011

Tema da quinta elementare.



È la fine di un amplesso. Una di quelle scopate in macchina, in zone remote della tua cittadina. Il tipo esce dal mezzo, si tira su gli slip, e si riallaccia i pantaloni. La partita è finita, si torna a casa. Ma, qualcosa di veramente irrelevante per l’umanità è appena accaduta. Nel tirarsi su i calzoni un pelo pubico si è staccato dalla radice ed è planato a terra, tra la fanga.
Lo vedete? È proprio lì, disteso a terra, sembra morto. Sa che il suo ciclo vitale è concluso, non si aspetta nemmeno un funerale. È lì, e attende la decomposizione.
Qualcosa però, o qualcuno, decise che il suo momento non era ancora arrivato, la sua storia non era ancora finita. Non che potesse cambiare le sorti di un mondo, né salvare una principessa da un drago sputa fuoco, ma gli venne concessa un’altra possibilità. Continuare a “vivere” per chissà quale motivo.
Una leggera quanto inebriante ventata d’aria riuscì a sollevarlo da terra. Volava. Volteggiava nell’aria come un bellissimo uccellino che spicca per la prima volta il volo. Si sentiva bello, era rinato. La luce del sole, per quanto fioca, lo rendeva quasi trasparente, anzi lo era. Nessuno poteva vederlo. Nessuno voleva.
Con l’eleganza di chi non esiste, volò più del normale. Superò ogni limite e finì in un ruscello d’acqua piovana. Si purificò. La fanga che lo aveva insozzato era scomparsa, era pronto ad una nuova vita. Una vita migliore. Le aspettative erano alte.
Un gatto, che passava di lì per caso, immergendo il musetto nel ruscello, sollevò il “nostro amico” con i baffi e se lo porto in groppa fino a casa.
L’avventura era iniziata, ed era consapevole di ciò.
Il gatto aveva un padrone. Un rozzo ragazzo che passava le sue giornate a non far niente. Questi, vedendo il gatto, lo abbracciò innalzandolo al cielo, così che, il pelo scivolo sul capo del ragazzo.
Fra i tanti capelli si sentì a disagio. Lui era di un’altra razza. Non era come loro, che avevano sempre fatto una bella vita. Lui era vissuto nelle zone basse, nella periferia. Ma c’era qualcos’altro. Lui, a differenza di loro si era purificato, era cambiato, aveva cambiato vita. Loro erano cementati nella loro condizione da chissà quanto tempo.
D’un tratto sentì il ragazzo dire:
“Mamma, io vado dal parruchiere”
E come un cavaliere, il “nostro eroe” cavalcò il giovane. Uscirono dalla porta di casa e scesero in strada. Probabilmente pensava:
“Vai cavallino, il mondo è nostro.”
Giunsero dal parrucchiere, e come gli altri compagni sulla testa subì la sorte d’essere tagliato in due come una bestia.





Andrea Capodimonte



Wassily Kandinsky - "Composition VII "


1913; Olio su tela, 200 x 300 cm; Tretyakov Gallery, Mosca.

Segni-colori, inconfondibile profumo spirituale.

"Penetrante, lenta stimola"

 
Penetrante, lenta stimola
risalendo il corpo; lingua
di fuoco divino in gola,
assaporando la tregua
dell'inferno senza sapori
che circonda il nostro essere.
Baciami in quell'istante fuori
dal mondo nel quale vivere.



Andrea Bollini/fomento

Il non inizio

 


Eccoci. Liberi e prigionieri.