lunedì 22 aprile 2013

Concorso letterario "Premio Zucca"

Questo post nasce con il preciso scopo di pubblicizzare uno scritto di uno degli appartenenti al grande focolare Densità Blu in concorso per il "Premio Zucca": parliamo di Andrea Capodimonte e del suo racconto intitolato "Non sono l'ordine" il quale si "contenderà l'onore di essere pubblicato in appendice al nuovo romanzo di un famoso scrittore noir, nella Spirito Noir Collection." 


Or dunque, lettori del Blog, lettori occasionali, o qualsivoglia voi siate, abbiate la cortesia di collegarvi al link sottostante, leggere il racconto del nostro/vostro amico, mettere un "mi piace", e perché no, anche di condividerlo fra i vostri amici

Su su su; altrimenti che mala sorte vi colga!!




domenica 14 aprile 2013

Punteggiatura di coppia


Tanto tempo fa sopra la più alta e grande nuvola del cielo si ergeva un piccolo villaggio. Questo villaggio era composto da tante minuscole casettine di legno, le quali erano poste l'una sopra l'altra, l'una di fianco all'altra, o leggermente spostate l'una dall'altra; e, tutte insieme, andavano a realizzare un perfetto quanto intricatissimo labirinto: chi vi entrava rischiava di perdersi ed uscirne dopo mille anni, ma, e questo succedeva il più delle volte, a dir la verità ne usciva in effetti piuttosto velocemente e anche parecchio deluso. Ogni casettina di legno era abitata da molteplici creaturine dalle forme più strane: alcuni erano come righine dritte poggiate sopra un pallino, altri sembrano archi senza corda né frecce, altri facevano continuamente stretching e per questo erano sempre piegate su loro stesse, e così via... Il numero preciso di quanti fossero in tutto era ai più sconosciuto; non si riusciva neanche a distinguere con certezza quali fossero i residenti più anziani e quali i più giovani; ma sembrava che a nessuno importasse metter chiarezza, ripetevano che si stava benissimo anche così. E infatti, a sostegno delle loro tesi, le giornate trascorrevano placide e serene sotto un cielo limpido libero da tempeste.
Esisteva però una creaturina che non sorrideva sempre come le altre. Ad un primo sguardo poco attento poteva sembrare un abitante del villaggio come tanti; e anche la sua forma poteva trarre in inganno: assomigliava infatti a un sassolino perfettamente sferico. Tuttavia, per sua sfortuna, aveva un grandissimo problema che lo rendeva particolare e alquanto strano rispetto a tutti quanti. Esso, il problema, si presentava quando, vista anche la sua indole chiaccherona, cercava di voler dir la sua, di comunicare i suoi pensieri, o semplicemente di parlare di qualsiasi cosa con chiunque volesse, ma, per un motivo del tutto inspiegabile, succedeva che di punto in bianco, quando si avvicinava agli altri, chiunque fosse a lei vicina smetteva di parlare, cambiava discorso, o addirittura cessava di esistere. Una situazione insostenibile che avrebbe con il passare del tempo portato alla rovina, e alla solitudine, la nostra creatura se non fosse accaduto un fatto che possiamo definire senza problemi miracoloso:
un giorno come un altro questa creaturina dalle sembianze di un sassolino, presa come non mai dal dubbio esistenziale che la attanagliava, iniziò a rotolare senza sosta per tutto il villaggio, senza una meta, e senza uno scopo ben preciso in mente, fino a giungere davanti a una fontana di marmo raffigurante uno strano oggetto rettangolare con decorazioni floreali su tutta la superficie dal quale zampillava un liquido scuro, denso e con un odore particolare... un odore familiare. Incuriosita da quello strano oggetto decise di avvicinarsi e di controllare più da vicino di cosa si trattasse. E, forse per distrazione, o forse per via del vento del destino, rimbalzando sul bordo della cornice della fontana vi cadde dentro. Un intenso calore avvolse tutto il suo corpo sferico, seguito da una stranissima sensazione: come se un qualcosa da dentro cercasse di uscire al di fuori. E successe proprio questo e un altro sassolino sferico si staccò dal singolo sassolino e rotolò fuori dalla pozza nera.
La nostra creaturina preferita fuoriuscita dalla fontana si trovò faccia a faccia con questa, sconosciuta, altra creatura che tanto le era uguale... si avvicinò speranzoso che anche lei non scomparisse come successe molte altre volte con gli altri abitanti. E non scomparve, non si allontanò e non cambiò improvvisamente discorso.
Da quel momento se posti uno di fronte all'altro niente più scompariva, niente più cambiava argomento, e nessun'altra creaturina volgeva lo sguardo verso altri luoghi; anzi tutti le cercavano e tutti volevano la loro compagnia. Niente era più un cambiamento, una fine, ma un inizio, un arricchimento di un qualcosa che già esisteva. Da terminatori divennero continuatori di storie.
In quel giorno nacque la punteggiatura di coppia; e fu la prima di una lunga serie... non mi credete?

Andrea Bollini/fomento

domenica 7 aprile 2013

Sogni di libertà

Una volta sognai di esser seduto davanti a una scrivania con sopra uno strano oggetto dall’aspetto divertente. Scoprii essere una macchina per scrivere, di quelle meccaniche non elettroniche, color piombo: era la prima volta che ne vedevo una, e, soprattutto, era la prima volta che ne usavo una. Era come aver di fronte un oceano nuovo, sconfinato, dal quale attingere tutto ciò che volessi e nel quale tuffarmi avido con le mie stesse mani: ogni centimetro era gravido d’infinite possibilità; come trovarsi di fronte ad un pianoforte liquido, senza corde né tasti, aperto a uno spartito sconfinato stracolmo di vere parole. Mai udii melodia più commovente.

Travolto da uno scorrere insensato, saturo di energica volontà realizzatrice, iniziai a scrivere fiumi di caratteri, che ora si univano formando parole, frasi, e ora si respingevano odiandosi, come pieni di vitalità. In quel momento credevo di aver intrapreso la via che mi avrebbe portato alla realizzazione della più grande opera dell’intera umanità. Senza dubbio non era vero.

Nell’attimo stesso in cui terminai l’ultimo fra gli infiniti fogli, in cui l’ultima lastra bianca venne sconfitta, dell’inchiostro denso e marcescente, fuoriuscito dal grembo freddo e innaturale che lo aveva generato, ricoprì tutto il mio corpo che immobile non poté più muoversi. Fuggire.

Era la pesantezza della vita, degli attimi che si sommano, che tutta in un colpo si fece sentire in ogni millimetro della mia pelle: la assaggiai e ne provai disgusto e ne vomitai fino a sentirmi male. Mangiare il mio stesso corpo fino a scomparire, fino a farla scomparire, fu l’unica soluzione che mi si prospettò dinanzi.

Così, assassino e pasto di me stesso, mi liberai e gettai quell’orrendo insieme di ingranaggi metallici al di là di quello che più non ero, e che mai più sarò.

Un attimo dopo mi svegliai: fortunatamente era solo un sogno.


Andrea Bollini/fomento